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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Purtroppo siamo dovuti tornare a questa udienza in Biblioteca e questo per difenderci dai contagi del Covid.


Questo ci insegna pure che dobbiamo essere molto attenti alle prescrizioni delle Autorità, siano le Autorità politiche che le autorità Sanitarie per difenderci da questa pandemia. Offriamo al Signore questa distanza tra noi, per il bene di tutti e pensiamo, pensiamo tanto agli ammalati, a coloro che entrano negli ospedali già come scarti, pensiamo ai medici, agli infermieri, le infermiere, ai volontari, a tanta gente che lavora con gli ammalati in questo momento: essi rischiano la vita ma lo fanno per amore del prossimo, come una vocazione. Preghiamo per loro.

Durante la sua vita pubblica, Gesù fa costantemente ricorso alla forza della preghiera. I Vangeli ce lo mostrano quando si ritira in luoghi appartati a pregare. Si tratta di osservazioni sobrie e discrete, che lasciano solo immaginare quei dialoghi oranti. Esse testimoniano però chiaramente che, anche nei momenti di maggiore dedizione ai poveri e ai malati, Gesù non tralasciava mai il suo dialogo intimo con il Padre. Quanto più era immerso nei bisogni della gente, tanto più sentiva la necessità di riposare nella Comunione trinitaria, di tornare con il Padre e lo Spirito.

Nella vita di Gesù c’è dunque un segreto, nascosto agli occhi umani, che rappresenta il fulcro di tutto. La preghiera di Gesù è una realtà misteriosa, di cui intuiamo solo qualcosa, ma che permette di leggere nella giusta prospettiva l’intera sua missione. In quelle ore solitarie – prima dell’alba o nella notte – Gesù si immerge nella sua intimità con il Padre, vale a dire nell’Amore di cui ogni anima ha sete. È quello che emerge fin dai primi giorni del suo ministero pubblico.

Un sabato, ad esempio, la cittadina di Cafarnao si trasforma in un “ospedale da campo”: dopo il tramonto del sole portano a Gesù tutti i malati, e Lui li guarisce. Però, prima dell’alba, Gesù scompare: si ritira in un luogo solitario e prega. Simone e gli altri lo cercano e quando lo trovano gli dicono: “Tutti ti cercano!”. Cosa risponde Gesù?: “Devo andare a predicare negli altri villaggi; per questo sono venuto” (cfr Mc 1,35-38). Sempre Gesù è un po’ oltre, oltre nella preghiera con il Padre e oltre, in altri villaggi, altri orizzonti per andare a predicare, altri popoli.

È la preghiera il timone che guida la rotta di Gesù. A dettare le tappe della sua missione non sono i successi, non è il consenso, non è quella frase seducente “tutti ti cercano”. A tracciare il cammino di Gesù è la via meno comoda, che però obbedisce all’ispirazione del Padre, che Gesù ascolta e accoglie nella sua preghiera solitaria.

Il Catechismo afferma: «Quando Gesù prega, già ci insegna a pregare» (n. 2607). Perciò, dall’esempio di Gesù possiamo ricavare alcune caratteristiche della preghiera cristiana.

Anzitutto essa possiede un primato: è il primo desiderio della giornata, qualcosa che si pratica all’alba, prima che il mondo si risvegli. Essa restituisce un’anima a ciò che altrimenti resterebbe senza respiro. Un giorno vissuto senza preghiera rischia di trasformarsi in un’esperienza fastidiosa, o noiosa: tutto quello che ci capita potrebbe per noi volgersi in un mal sopportato e cieco destino. Gesù invece educa all’obbedienza alla realtà e dunque all’ascolto. La preghiera è anzitutto ascolto e incontro con Dio. I problemi di tutti i giorni, allora, non diventano ostacoli, ma appelli di Dio stesso ad ascoltare e incontrare chi ci sta di fronte. Le prove della vita si mutano così in occasioni per crescere nella fede e nella carità. Il cammino quotidiano, comprese le fatiche, acquista la prospettiva di una “vocazione”. La preghiera ha il potere di trasformare in bene ciò che nella vita sarebbe altrimenti una condanna; la preghiera ha il potere di aprire un orizzonte grande alla mente e di allargare il cuore.

In secondo luogo, la preghiera è un’arte da praticare con insistenza. Gesù stesso ci dice: bussate, bussate, bussate. Tutti siamo capaci di preghiere episodiche, che nascono dall’emozione di un momento; ma Gesù ci educa a un altro tipo di preghiera: quella che conosce una disciplina, un esercizio, e viene assunta entro una regola di vita. Una preghiera perseverante produce una trasformazione progressiva, rende forti nei periodi di tribolazione, dona la grazia di essere sostenuti da Colui che ci ama e ci protegge sempre.

Un’altra caratteristica della preghiera di Gesù è la solitudine. Chi prega non evade dal mondo, ma predilige i luoghi deserti. Là, nel silenzio, possono emergere tante voci che nascondiamo nell’intimo: i desideri più rimossi, le verità che ci ostiniamo a soffocare e così via. E, soprattutto, nel silenzio parla Dio. Ogni persona ha bisogno di uno spazio per sé stessa, dove coltivare la propria vita interiore, dove le azioni ritrovano un senso. Senza vita interiore diventiamo superficiali, agitati, ansiosi – l’ansia come ci fa male! Per questo dobbiamo andare alla preghiera; senza vita interiore sfuggiamo dalla realtà, e anche sfuggiamo da noi stessi, siamo uomini e donne sempre in fuga.



Infine, la preghiera di Gesù è il luogo dove si percepisce che tutto viene da Dio e a Lui ritorna. A volte noi esseri umani ci crediamo padroni di tutto, oppure al contrario perdiamo ogni stima di noi stessi, andiamo da una parte all’altra. La preghiera ci aiuta a ritrovare la giusta dimensione, nella relazione con Dio, nostro Padre, e con tutto il creato. E la preghiera di Gesù infine è abbandonarsi nelle mani del Padre, come Gesù nell’orto degli ulivi, in quell’angoscia: “Padre se è possibile ..., ma si faccia la tua volontà”. L’abbandono nelle mani del Padre. È bello quando noi stiamo agitati, un po’ preoccupati e lo Spirito Santo ci trasforma da dentro e ci porta a questo abbandono nelle mani del Padre: “Padre, si faccia la tua volontà”.

Cari fratelli e sorelle, riscopriamo, nel Vangelo, Gesù Cristo come maestro di preghiera, e mettiamoci alla sua scuola. Vi assicuro che troveremo la gioia e la pace.


Papa Francesco, Udienza Generale, Mercoledì 4 Novembre 2020, Biblioteca del Palazzo Apostolico.

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi, in questa udienza, come abbiamo fatto nelle udienze precedenti, io rimarrò qui.


A me piacerebbe tanto scendere, salutare ognuno, ma dobbiamo mantenere le distanze, perché se io scendo subito si fa un assembramento per salutare, e questo è contro le cure, le precauzioni che dobbiamo avere davanti a questa “signora” che si chiama Covid e che ci fa tanto male. Per questo, scusatemi se io non scendo a salutarvi: vi saluto da qui ma vi porto tutti nel cuore. E voi, portate nel cuore me e pregate per me. A distanza, si può pregare uno per l’altro; grazie della comprensione.

Nel nostro itinerario di catechesi sulla preghiera, dopo aver percorso l’Antico Testamento, arriviamo ora a Gesù. E Gesù pregava. L’esordio della sua missione pubblica avviene con il battesimo nel fiume Giordano. Gli Evangelisti concordano nell’attribuire importanza fondamentale a questo episodio. Narrano di come tutto il popolo si fosse raccolto in preghiera, e specificano come questo radunarsi avesse un chiaro carattere penitenziale (cfr Mc 1,5; Mt 3,8). Il popolo andava da Giovanni a farsi battezzare per il perdono dei peccati: c’è un carattere penitenziale, di conversione.

Il primo atto pubblico di Gesù è dunque la partecipazione a una preghiera corale del popolo, una preghiera del popolo che va a farsi battezzare, una preghiera penitenziale, dove tutti si riconoscevano peccatori. Per questo il Battista vorrebbe opporsi, e dice: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?» (Mt 3,14). Il Battista capisce chi era Gesù. Ma Gesù insiste: il suo è un atto che obbedisce alla volontà del Padre (v. 15), un atto di solidarietà con la nostra condizione umana. Egli prega con i peccatori del popolo di Dio. Questo mettiamolo in testa: Gesù è il Giusto, non è peccatore. Ma Lui ha voluto scendere fino a noi, peccatori, e Lui prega con noi, e quando noi preghiamo Lui è con noi pregando; Lui è con noi perché è in cielo pregando per noi. Gesù sempre prega con il suo popolo, sempre prega con noi: sempre. Mai preghiamo da soli, sempre preghiamo con Gesù. Non rimane sulla sponda opposta del fiume - “Io sono giusto, voi peccatori” - per marcare la sua diversità e distanza dal popolo disobbediente, ma immerge i suoi piedi nelle stesse acque di purificazione. Si fa come un peccatore. E questa è la grandezza di Dio che inviò il suo Figlio che annientò sé stesso e apparve come un peccatore.

Gesù non è un Dio lontano, e non può esserlo. L’incarnazione lo ha rivelato in modo compiuto e umanamente impensabile. Così, inaugurando la sua missione, Gesù si mette a capofila di un popolo di penitenti, come incaricandosi di aprire una breccia attraverso la quale tutti quanti noi, dopo di Lui, dobbiamo avere il coraggio di passare. Ma la strada, il cammino, è difficile; ma Lui va, aprendo il cammino. Il Catechismo della Chiesa Cattolica spiega che questa è la novità della pienezza dei tempi. Dice: «La preghiera filiale, che il Padre aspettava dai suoi figli, è finalmente vissuta dallo stesso Figlio unigenito nella sua umanità, con gli uomini e per gli uomini» (n. 2599). Gesù prega con noi. Mettiamo questo nella testa e nel cuore: Gesù prega con noi.

In quel giorno, sulle sponde del fiume Giordano, c’è dunque tutta l’umanità, con i suoi aneliti inespressi di preghiera. C’è soprattutto il popolo dei peccatori: quelli che pensavano di non poter essere amati da Dio, quelli che non osavano andare al di là della soglia del tempio, quelli che non pregavano perché non se ne sentivano degni. Gesù è venuto per tutti, anche per loro, e comincia proprio unendosi a loro, capofila.

Soprattutto il Vangelo di Luca mette in evidenza il clima di preghiera in cui è avvenuto il battesimo di Gesù: «Mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì» (3,21). Pregando, Gesù apre la porta dei cieli, e da quella breccia discende lo Spirito Santo. E dall’alto una voce proclama la verità stupenda: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (v. 22). Questa semplice frase racchiude un immenso tesoro: ci fa intuire qualcosa del mistero di Gesù e del suo cuore sempre rivolto al Padre. Nel turbinio della vita e del mondo che arriverà a condannarlo, anche nelle esperienze più dure e tristi che dovrà sopportare, anche quando sperimenta di non avere un posto dove posare il capo (cfr Mt 8,20), anche quando attorno a Lui si scatenano l’odio e la persecuzione, Gesù non è mai senza il rifugio di una dimora: abita eternamente nel Padre.

Ecco la grandezza unica della preghiera di Gesù: lo Spirito Santo prende possesso della sua persona e la voce del Padre attesta che Lui è l’amato, il Figlio in cui Egli pienamente si rispecchia.

Questa preghiera di Gesù, che sulle sponde del fiume Giordano è totalmente personale – e così sarà per tutta la sua vita terrena –, nella Pentecoste diventerà per grazia la preghiera di tutti i battezzati in Cristo. Egli stesso ci ha ottenuto questo dono, e ci invita a pregare così come Lui pregava.

Per questo, se in una sera di orazione ci sentiamo fiacchi e vuoti, se ci sembra che la vita sia stata del tutto inutile, dobbiamo in quell’istante supplicare che la preghiera di Gesù diventi anche la nostra. “Io non posso pregare oggi, non so cosa fare: non me la sento, sono indegno, indegna”. In quel momento, occorre affidarsi a Lui perché preghi per noi. Lui in questo momento è davanti al Padre pregando per noi, è l’intercessore; fa vedere al Padre le piaghe, per noi. Abbiamo fiducia in questo! Se noi abbiamo fiducia, udremo allora una voce dal cielo, più forte di quella che sale dai bassifondi di noi stessi, e sentiremo questa voce bisbigliare parole di tenerezza: “Tu sei l’amato di Dio, tu sei figlio, tu sei la gioia del Padre dei cieli”. Proprio per noi, per ciascuno di noi echeggia la parola del Padre: anche se fossimo respinti da tutti, peccatori della peggior specie. Gesù non scese nelle acque del Giordano per sé stesso, ma per tutti noi. Era tutto il popolo di Dio che si avvicinava al Giordano per pregare, per chiedere perdono, per fare quel battesimo di penitenza. E come dice quel teologo, si avvicinavano al Giordano “nuda l’anima e nudi i piedi”. Così è l’umiltà. Per pregare ci vuole umiltà. Ha aperto i cieli, come Mosè aveva aperto le acque del mar Rosso, perché tutti noi potessimo transitare dietro di Lui. Gesù ci ha regalato la sua stessa preghiera, che è il suo dialogo d’amore con il Padre. Ce lo ha donato come un seme della Trinità, che vuole attecchire nel nostro cuore. Accogliamolo! Accogliamo questo dono, il dono della preghiera. Sempre con Lui. E non sbaglieremo.


Papa Francesco, Udienza Generale, Mercoledì 28 Ottobre 2020

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Oggi noi dovremmo cambiare un po' il modo di portare avanti questa udienza per il motivo del Coronavirus.


Voi siete separati, anche con la protezione della mascherina e io sono qui un po’ distante e non posso fare quello che faccio sempre, avvicinarmi a voi, perché succede che ogni volta che io mi avvicino, voi venite tutti insieme e si perde la distanza e c’è il pericolo per voi del contagio. Mi dispiace fare questo ma è per la vostra sicurezza. Invece di venire vicino a voi e stringere le mani e salutare, ci salutiamo da lontano, ma sappiate che io sono vicino a voi con il cuore. Spero che voi capiate perché faccio questo. Poi, mentre leggevano i lettori il brano biblico, mi ha attirato l’attenzione quel bambino o bambina che piangeva. E io vedevo la mamma che coccolava e allattava il bambino e ho pensato: “così fa Dio con noi, come quella mamma”. Con quanta tenerezza cercava di muovere il bambino, di allattare. Sono delle immagini bellissime. E quando in Chiesa succede questo, quando piange un bambino, si sa che lì c’è la tenerezza di una mamma, come oggi, c’è la tenerezza di una mamma che è il simbolo della tenerezza di Dio con noi. Mai far tacere un bambino che piange in Chiesa, mai, perché è la voce che attira la tenerezza di Dio. Grazie per la tua testimonianza.




Completiamo oggi la catechesi sulla preghiera dei Salmi. Anzitutto notiamo che nei Salmi compare spesso una figura negativa, quella dell’“empio”, cioè colui o colei che vive come se Dio non ci fosse. È la persona senza alcun riferimento al trascendente, senza alcun freno alla sua arroganza, che non teme giudizi su ciò che pensa e ciò che fa.

Per questa ragione il Salterio presenta la preghiera come la realtà fondamentale della vita. Il riferimento all’assoluto e al trascendente – che i maestri di ascetica chiamano il “sacro timore di Dio” – è ciò che ci rende pienamente umani, è il limite che ci salva da noi stessi, impedendo che ci avventiamo su questa vita in maniera predatoria e vorace. La preghiera è la salvezza dell’essere umano.

Certo, esiste anche una preghiera fasulla, una preghiera fatta solo per essere ammirati dagli altri. Quello o quelli che vanno a Messa soltanto per far vedere che sono cattolici o per far vedere l’ultimo modello che hanno acquistato, o per fare buona figura sociale. Vanno a una preghiera fasulla. Gesù ha ammonito fortemente al riguardo (cfr Mt 6,5-6; Lc 9,14). Ma quando il vero spirito della preghiera è accolto con sincerità e scende nel cuore, allora essa ci fa contemplare la realtà con gli occhi stessi di Dio.

Quando si prega, ogni cosa acquista “spessore”. Questo è curioso nella preghiera, forse incominciamo in una cosa sottile ma nella preghiera quella cosa acquista spessore, acquista peso, come se Dio la prende in mano e la trasforma. Il peggior servizio che si possa rendere, a Dio e anche all’uomo, è di pregare stancamente, in maniera abitudinaria. Pregare come i pappagalli. No, si prega con il cuore. La preghiera è il centro della vita. Se c’è la preghiera, anche il fratello, la sorella, anche il nemico, diventa importante. Un antico detto dei primi monaci cristiani così recita: «Beato il monaco che, dopo Dio, considera tutti gli uomini come Dio» (Evagrio Pontico, Trattato sulla preghiera, n. 123). Chi adora Dio, ama i suoi figli. Chi rispetta Dio, rispetta gli esseri umani.

Per questo, la preghiera non è un calmante per attenuare le ansietà della vita; o, comunque, una preghiera di tal genere non è sicuramente cristiana. Piuttosto la preghiera responsabilizza ognuno di noi. Lo vediamo chiaramente nel “Padre nostro”, che Gesù ha insegnato ai suoi discepoli.

Per imparare questo modo di pregare, il Salterio è una grande scuola. Abbiamo visto come i salmi non usino sempre parole raffinate e gentili, e spesso portino impresse le cicatrici dell’esistenza. Eppure, tutte queste preghiere sono state usate prima nel Tempio di Gerusalemme e poi nelle sinagoghe; anche quelle più intime e personali. Così si esprime il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Le espressioni multiformi della preghiera dei salmi nascono ad un tempo nella liturgia del Tempio e nel cuore dell’uomo» (n. 2588). E così la preghiera personale attinge e si alimenta da quella del popolo d’Israele, prima, e da quella del popolo della Chiesa, poi.

Anche i salmi in prima persona singolare, che confidano i pensieri e i problemi più intimi di un individuo, sono patrimonio collettivo, fino ad essere pregati da tutti e per tutti. La preghiera dei cristiani ha questo “respiro”, questa “tensione” spirituale che tiene insieme il tempio e il mondo. La preghiera può iniziare nella penombra di una navata, ma poi termina la sua corsa per le strade della città. E viceversa, può germogliare durante le occupazioni quotidiane e trovare compimento nella liturgia. Le porte delle chiese non sono barriere, ma “membrane” permeabili, disponibili a raccogliere il grido di tutti.

Nella preghiera del Salterio il mondo è sempre presente. I salmi, ad esempio, danno voce alla promessa divina di salvezza dei più deboli: «Per l’oppressione dei miseri e il gemito dei poveri, ecco, mi alzerò – dice il Signore –; metterò in salvo chi è disprezzato» (12,6). Oppure ammoniscono sul pericolo delle ricchezze mondane, perché «l’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono» (48,21). O, ancora, aprono l’orizzonte allo sguardo di Dio sulla storia: «Il Signore annulla i disegni delle nazioni, rende vani i progetti dei popoli. Ma il disegno del Signore sussiste per sempre, i progetti del suo cuore per tutte le generazioni» (33,10-11).

Insomma, dove c’è Dio, ci dev’essere anche l’uomo. La Sacra Scrittura è categorica: «Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo. Lui sempre va prima di noi. Lui ci aspetta sempre perché ci ama per primo, ci guarda per primo, ci capisce per primo. Lui ci aspetta sempre. Se uno dice: “Io amo Dio” e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Se tu preghi tanti rosari al giorno ma poi chiacchieri sugli altri, e poi hai rancore dentro, hai odio contro gli altri, questo è artificio puro, non è verità. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello» (1 Gv 4,19-21). La Scrittura ammette il caso di una persona che, pur cercando Dio sinceramente, non riesce mai a incontrarlo; ma afferma anche che non si possono mai negare le lacrime dei poveri, pena il non incontrare Dio. Dio non sopporta l’“ateismo” di chi nega l’immagine divina che è impressa in ogni essere umano. Quell’ateismo di tutti i giorni: io credo in Dio ma con gli altri tengo la distanza e mi permetto di odiare gli altri. Questo è ateismo pratico. Non riconoscere la persona umana come immagine di Dio è un sacrilegio, è un abominio, è la peggior offesa che si può recare al tempio e all’altare.

Cari fratelli e sorelle, la preghiera dei salmi ci aiuti a non cadere nella tentazione dell’ “empietà”, cioè di vivere, e forse anche di pregare, come se Dio non esistesse, e come se i poveri non esistessero.


Papa Francesco, Udienza Generale, Mercoledì 21 Ottobre 2020


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