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Via Appia Antica, 136, 00179 Roma

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!


Proseguiamo la catechesi sugli Atti degli Apostoli. Davanti al divieto dei Giudei di insegnare nel nome di Cristo, Pietro e gli Apostoli rispondono con coraggio che non possono obbedire a chi vuole arrestare il viaggio del Vangelo nel mondo.


I Dodici mostrano così di possedere quella «obbedienza della fede» che vorranno poi suscitare in tutti gli uomini (cfr Rm 1,5). A partire dalla Pentecoste, infatti, non sono più uomini “soli”. Sperimentano quella speciale sinergia che li fa decentrare da sé e fa dire loro: «noi e lo Spirito Santo» (At 5,32) o «lo Spirito Santo e noi» (At 15,28). Sentono che non possono dire “io” solo, sono uomini decentrati da se stessi. Forti di questa alleanza, gli Apostoli non si lasciano intimorire da nessuno. Avevano un coraggio impressionante! Pensiamo che questi erano codardi: tutti sono scappati, sono fuggiti quando Gesù fu arrestato. Ma, da codardi sono diventati così coraggiosi. Perché? Perché era lo Spirito Santo con loro. Lo stesso succede a noi: se noi abbiamo dentro lo Spirito Santo, avremo il coraggio di andare avanti, il coraggio di vincere tante lotte, non per noi ma per lo Spirito che è con noi. Non retrocedono nella loro marcia di testimoni intrepidi di Gesù Risorto, come i martiri di tutti i tempi, compresi i nostri. I martiri, danno la vita, non nascondono di essere cristiani.


Pensiamo, alcuni anni fa – anche oggi ce ne sono tanti - ma pensiamo quattro anni fa, quei copti ortodossi cristiani, veri lavoratori, sulla spiaggia della Libia: tutti sono stati sgozzati. Ma l’ultima parola che dicevano era “Gesù, Gesù”. Non avevano svenduto la fede, perché c’era lo Spirito Santo con loro. Questi sono i martiri di oggi! Gli Apostoli sono i “megafoni” dello Spirito Santo, inviati dal Risorto a diffondere con prontezza e senza esitazioni la Parola che dà salvezza.

E davvero, questa determinazione fa tremare il “sistema religioso” giudaico, che si sente minacciato e risponde con violenza e condanne a morte. La persecuzione dei cristiani è sempre lo stesso: le persone che non vogliono il cristianesimo si sentono minacciate e così portano la morte ai cristiani. Ma, in mezzo al sinedrio, si leva la voce diversa di un fariseo che sceglie di arginare la reazione dei suoi: si chiamava Gamaliele, uomo prudente, «dottore della Legge, stimato da tutto il popolo». Alla sua scuola San Paolo imparò a osservare “la Legge dei padri” (cfr At 22,3). Gamaliele prende la parola e mostra ai suoi fratelli come esercitare l’arte del discernimento dinanzi a situazioni che superano gli schemi consueti.


Egli dimostra, citando alcuni personaggi che si erano spacciati per Messia, che ogni progetto umano può riscuotere dapprima consensi e poi naufragare, mentre tutto ciò che viene dall’alto e porta la “firma” di Dio è destinato a durare. I progetti umani falliscono sempre; hanno un tempo, come noi. Pensate a tanti progetti politici, e come cambiano da una parte all’altra, in tutti i Paesi. Pensate ai grandi imperi, pensate alle dittature del secolo scorso: si sentivano potentissimi, pensavano di dominare il mondo. E poi sono crollate tutte. Pensate anche oggi, agli imperi di oggi: crolleranno, se Dio non è con loro, perché la forza che gli uomini hanno in se stessi non è duratura. Soltanto la forza di Dio dura. Pensiamo alla storia dei cristiani, anche alla storia della Chiesa, con tanti peccati, con tanti scandali, con tante cose brutte in questi due millenni. E perché non è crollata? Perché Dio è lì. Noi siamo peccatori, e anche tante volte diamo scandalo. Ma Dio è con noi. E Dio salva prima noi, e poi loro; ma sempre salva, il Signore. La forza è “Dio con noi”. Gamaliele dimostra, citando alcuni personaggi che si erano spacciati per Messia, che ogni progetto umano può riscuotere dapprima consensi e poi naufragare. Perciò Gamaliele conclude che, se i discepoli di Gesù di Nazaret hanno creduto a un impostore, sono destinati a sparire nel nulla; se invece seguono uno che viene da Dio, è meglio rinunciare a combatterli; e ammonisce: «Non vi accada di trovarvi addirittura a combattere contro Dio!» (At 5,39). Ci insegna a fare questo discernimento.


Sono parole pacate e lungimiranti, che permettono di vedere l’evento cristiano con una luce nuova e offrono criteri che “sanno di Vangelo”, perché invitano a riconoscere l’albero dai suoi frutti (cfr Mt 7,16). Esse toccano i cuori e ottengono l’effetto sperato: gli altri membri del Sinedrio seguono il suo parere e rinunciano ai propositi di morte, cioè di uccidere gli Apostoli.

Chiediamo allo Spirito Santo di agire in noi perché, sia personalmente sia comunitariamente, possiamo acquisire l’habitus del discernimento. Chiediamogli di saper vedere sempre l’unità della storia della salvezza attraverso i segni del passaggio di Dio in questo nostro tempo e sui volti di chi ci è accanto, perché impariamo che il tempo e i volti umani sono messaggeri del Dio vivente.


Piazza San Pietro, 18 Settembre 2019

  • 5 set 2019
  • Tempo di lettura: 1 min

Aggiornamento: 2 ott 2019


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Sono ancora aperte le iscrizioni all'anno di catechesi 2019-2020, che inizierà DOMENICA 13 OTTOBRE.


Il cammino di preparazione alla Prima Comunione dura due anni. Sono invitati ad iscriversi i bambini che hanno compiuto i 9 anni (IV elementare).

Il cammino di preparazione alla Cresima dura due anni. Sono invitati ad iscriversi i ragazzi che hanno compiuto gli 11 anni (I media).


In entrambi i casi, gli incontri del catechismo si tengono la domenica alle ore 11.00, subito dopo la S. Messa delle ore 10.00, nei locali parrocchiali.

A tal fine, per la pulizia e manutenzione dei suddetti locali, chiediamo gentilmente di donare un’offerta libera al momento dell’iscrizione.


NB. Devono essere iscritti anche i bambini/ragazzi che hanno già frequentato il I anno di catechismo. Nel caso in cui la famiglia del bambino non risieda nel territorio della Parrocchia, sarà richiesto il nulla osta della Parrocchia di appartenenza. Viene richiesto anche il certificato di Battesimo qualora il bambino sia stato battezzato in altra parrocchia.


E' possibile fare l'iscrizione presso la segreteria parrocchiale, negli orari di apertura (dal martedì al sabato, dalle 9.30 alle 12.00).



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Catechesi sugli Atti degli Apostoli: 5. «Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina!» (At 3,6). L’invocazione del Nome che libera una presenza viva e operante.


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!


Negli Atti degli Apostoli la predicazione del Vangelo non si affida solo alle parole, ma anche ad azioni concrete che testimoniano la verità dell’annuncio. Si tratta di «prodigi e segni» (At 2,43) che avvengono per opera degli Apostoli, confermando la loro parola e dimostrando che essi agiscono nel nome di Cristo. Accade così che gli Apostoli intercedono e Cristo opera, agendo «insieme con loro» e confermando la Parola con i segni che l’accompagnano (Mc 16,20). Tanti segni, tanti miracoli che hanno fatto gli Apostoli erano proprio una manifestazione della divinità di Gesù.


Ci troviamo oggi dinanzi al primo racconto di guarigione, davanti a un miracolo, che è il primo racconto di guarigione del Libro degli Atti. Esso ha una chiara finalità missionaria, che punta a suscitare la fede. Pietro e Giovanni vanno a pregare al Tempio, centro dell’esperienza di fede d’Israele, a cui i primi cristiani sono ancora fortemente legati. I primi cristiani pregavano nel Tempio a Gerusalemme. Luca registra l’ora: è l’ora nona, cioè le tre del pomeriggio, quando il sacrificio veniva offerto in olocausto come segno della comunione del popolo col suo Dio; e anche l’ora in cui Cristo è morto offrendo se stesso «una volta per sempre» (Eb 9,12; 10,10).

E alla porta del Tempio detta “Bella” – la porta Bella – vedono un mendicante, un uomo paralitico fin dalla nascita. Perché era alla porta, quell’uomo? Perché la Legge mosaica (cfr Lv 21,18) impediva di offrire sacrifici a chi avesse menomazioni fisiche, ritenute conseguenza di qualche colpa. Ricordiamo che di fronte a un cieco dalla nascita, il popolo aveva domandato a Gesù: “Chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?» (Gv 9,2). Secondo quella mentalità, c’è sempre una colpa all’origine di una malformazione. E in seguito era stato negato loro persino l’accesso al Tempio.


Lo storpio, paradigma dei tanti esclusi e scartati della società, è lì a chiedere l’elemosina come ogni giorno. Non poteva entrare, ma era alla porta. Quando accade qualcosa di imprevisto: arrivano Pietro e Giovanni e s’innesca un gioco di sguardi. Lo storpio guarda i due per chiedere l’elemosina, gli apostoli invece lo fissano, invitandolo a guardare verso di loro in un modo diverso, per ricevere un altro dono. Lo storpio li guarda e Pietro gli dice: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina!» (At 3,6). Gli apostoli hanno stabilito una relazione, perché questo è il modo in cui Dio ama manifestarsi, nella relazione, sempre nel dialogo, sempre nelle apparizioni, sempre con l’ispirazione del cuore: sono relazioni di Dio con noi; attraverso un incontro reale tra le persone che può accadere solo nell’amore.


Il Tempio, oltre ad essere il centro religioso, era anche un luogo di scambi economici e finanziari: contro questa riduzione si erano scagliati più volte i profeti e anche Gesù stesso (cfr Lc 19,45-46). Ma quante volte io penso a questo quando vedo qualche parrocchia dove si pensa che sono più importanti i soldi che i sacramenti! Per favore! Chiesa povera: chiediamo al Signore questo. Quel mendicante, incontrando gli Apostoli, non trova denaro, ma trova il Nome che salva l’uomo: Gesù Cristo il Nazareno. Pietro invoca il nome di Gesù, ordina al paralitico di mettersi in piedi, nella posizione dei viventi: in piedi, e tocca questo malato, cioè lo prende per mano e lo solleva, gesto in cui San Giovanni Crisostomo vede «un’immagine della risurrezione» (Omelie sugli Atti degli Apostoli, 8).


E qui appare il ritratto della Chiesa, che vede chi è in difficoltà, non chiude gli occhi, sa guardare l’umanità in faccia per creare relazioni significative, ponti di amicizia e di solidarietà al posto di barriere. Appare il volto di «una Chiesa senza frontiere che si sente madre di tutti» (Evangelii gaudium, 210), che sa prendere per mano e accompagnare per sollevare – non per condannare. Gesù sempre tende la mano, sempre cerca di sollevare, di fare in modo che la gente guarisca, che sia felice, che incontri Dio. Si tratta dell’«arte dell’accompagnamento» che si caratterizza per la delicatezza con cui ci si accosta alla «terra sacra dell’altro», dando al cammino «il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana» (ibid., 169). E questo fanno questi due apostoli con lo storpio: lo guardano, dicono “guardaci”, gli tendono la mano, lo fanno alzare e lo guariscono. Così fa Gesù con tutti noi. Pensiamo questo quando siamo in momenti brutti, in momenti di peccato, in momenti di tristezza. C’è Gesù che ci dice: “Guardami: io sono qui!”. Prendiamo la mano di Gesù e lasciamoci alzare.


Pietro e Giovanni ci insegnano a non confidare nei mezzi, che pure sono utili, ma nella vera ricchezza che è la relazione con il Risorto. Siamo infatti – come direbbe san Paolo – «poveri, ma capaci di arricchire molti; come gente che non ha nulla e invece possediamo tutto» (2Cor 6,10). Il nostro tutto è il Vangelo, che manifesta la potenza del nome di Gesù che compie prodigi.

E noi – ognuno di noi –, che cosa possediamo? Qual è la nostra ricchezza, qual è il nostro tesoro? Con che cosa possiamo rendere ricchi gli altri? Chiediamo al Padre il dono di una memoria grata nel ricordare i benefici del suo amore nella nostra vita, per dare a tutti la testimonianza della lode e della riconoscenza. Non dimentichiamo: la mano tesa sempre per aiutare l’altro ad alzarsi; è la mano di Gesù che tramite la nostra mano aiuta gli altri ad alzarsi.


Aula Paolo VI, Città del Vaticano, mercoledì 7 Agosto 2019

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