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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!


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La catechesi di oggi è dedicata alla settima beatitudine, quella degli “operatori di pace”, che vengono proclamati figli di Dio.

Mi rallegro che essa capiti subito dopo la Pasqua, perché la pace di Cristo è frutto della sua morte e risurrezione, come abbiamo ascoltato nella Lettura di San Paolo. Per capire questa beatitudine bisogna spiegare il senso della parola “pace”, che può essere frainteso o alle volte banalizzato.


Dobbiamo orientarci fra due idee di pace: la prima è quella biblica, dove compare la bellissima parola shalòm, che esprime abbondanza, floridezza, benessere. Quando in ebraico si augura shalòm, si augura una vita bella, piena, prospera, ma anche secondo la verità e la giustizia, che avranno compimento nel Messia, principe della pace (cfr Is 9,6; Mic 5,4-5).


C’è poi l’altro senso, più diffuso, per cui la parola “pace” viene intesa come una sorta di tranquillità interiore: sono tranquillo, sono in pace. Questa è un’idea moderna, psicologica e più soggettiva. Si pensa comunemente che la pace sia quiete, armonia, equilibrio interno. Questa accezione della parola “pace” è incompleta e non può essere assolutizzata, perché nella vita l’inquietudine può essere un importante momento di crescita. Tante volte è il Signore stesso che semina in noi l’inquietudine per andare incontro a Lui, per trovarlo. In questo senso è un importante momento di crescita; mentre può capitare che la tranquillità interiore corrisponda ad una coscienza addomesticata e non ad una vera redenzione spirituale. Tante volte il Signore deve essere “segno di contraddizione” (cfr Lc 2,34-35), scuotendo le nostre false sicurezze, per portarci alla salvezza. E in quel momento sembra di non avere pace, ma è il Signore che ci mette su questa strada per arrivare alla pace che Lui stesso ci darà.


A questo punto dobbiamo ricordare che il Signore intende la sua pace come diversa da quella umana, quella del mondo, quando dice: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14,27). Quella di Gesù è un’altra pace, diversa da quella mondana.

Domandiamoci: come dà la pace il mondo? Se pensiamo ai conflitti bellici, le guerre si concludono, normalmente, in due modi: o con la sconfitta di una delle due parti, oppure con dei trattati di pace. Non possiamo che auspicare e pregare perché si imbocchi sempre questa seconda via; però dobbiamo considerare che la storia è un’infinita serie di trattati di pace smentiti da guerre successive, o dalla metamorfosi di quelle stesse guerre in altri modi o in altri luoghi. Anche nel nostro tempo, una guerra “a pezzi” viene combattuta su più scenari e in diverse modalità. Dobbiamo perlomeno sospettare che nel quadro di una globalizzazione fatta soprattutto di interessi economici o finanziari, la “pace” di alcuni corrisponda alla “guerra” di altri. E questa non è la pace di Cristo!


Invece, come “dà” la sua pace il Signore Gesù? Abbiamo ascoltato San Paolo dire che la pace di Cristo è “fare di due, uno” (cfr Ef 2,14), annullare l’inimicizia e riconciliare. E la strada per compiere questa opera di pace è il suo corpo. Egli infatti riconcilia tutte le cose e mette pace con il sangue della sua croce, come dice altrove lo stesso Apostolo (cfr Col 1,20).

E qui mi domando, possiamo tutti domandarci: chi sono, quindi, gli “operatori di pace”? La settima beatitudine è la più attiva, esplicitamente operativa; l’espressione verbale è analoga a quella usata nel primo versetto della Bibbia per la creazione e indica iniziativa e laboriosità. L’amore per sua natura è creativo – l’amore è sempre creativo – e cerca la riconciliazione a qualunque costo. Sono chiamati figli di Dio coloro che hanno appreso l’arte della pace e la esercitano, sanno che non c’è riconciliazione senza dono della propria vita, e che la pace va cercata sempre e comunque. Sempre e comunque: non dimenticare questo! Va cercata così. Questa non è un’opera autonoma frutto delle proprie capacità, è manifestazione della grazia ricevuta da Cristo, che è nostra pace, che ci ha resi figli di Dio.


La vera shalòm e il vero equilibrio interiore sgorgano dalla pace di Cristo, che viene dalla sua Croce e genera un’umanità nuova, incarnata in una infinita schiera di Santi e Sante, inventivi, creativi, che hanno escogitato vie sempre nuove per amare. I Santi, le Sante che costruiscono la pace. Questa vita da figli di Dio, che per il sangue di Cristo cercano e ritrovano i propri fratelli, è la vera felicità. Beati coloro che vanno per questa via.


E di nuovo buona Pasqua a tutti, nella pace di Cristo!


Papa Francesco, Udienza Generale. Biblioteca del Palazzo Apostolico. Mercoledì, 15 aprile 2020

Omelia del Santo Padre nella celebrazione mattutina dalla Cappella di Casa Santa Marta.


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Preghiamo oggi per i governanti, gli scienziati, i politici che hanno incominciato a studiare la via d’uscita, il dopo-pandemia, questo “dopo” che è già incominciato: perché trovino la strada giusta, sempre in favore della gente, sempre in favore dei popoli.

Il Vangelo di oggi ci presenta un’opzione, un’opzione di tutti i giorni, un’opzione umana ma che regge da quel giorno: l’opzione tra la gioia, la speranza della resurrezione di Gesù, e la nostalgia del sepolcro.

Le donne vanno avanti a portare l’annuncio (cf. Mt 28,8): sempre Dio incomincia con le donne, sempre. Aprono strade. Non dubitano: sanno; lo hanno visto, lo hanno toccato. Hanno anche visto il sepolcro vuoto. È vero che i discepoli non potevano crederlo e hanno detto: “Ma queste donne forse sono un po’ troppo fantasiose” … non so, avevano i loro dubbi. Ma loro erano sicure e loro alla fine hanno portato avanti questa strada fino al giorno d’oggi: Gesù è risorto, è vivo tra noi (cf. Mt 28, 9-10).


E poi c’è l’altro: è meglio non vivere, con il sepolcro vuoto. Tanti problemi ci porterà, questo sepolcro vuoto. E la decisione di nascondere il fatto. È come sempre: quando non serviamo Dio, il Signore, serviamo l’altro dio, il denaro. Ricordiamo quello che Gesù ha detto: ci sono due signori, il Signore Dio e il signore denaro. Non si può servire ambedue. E per uscire da questa evidenza, da questa realtà, i sacerdoti, i dottori della Legge hanno scelto l’altra strada, quella che offriva loro il dio denaro e hanno pagato: hanno pagato il silenzio (cf. Mt 28, 12-13). Il silenzio dei testimoni.

Una delle guardie aveva confessato, appena morto Gesù: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc 15,39). Questi poveretti non capiscono, hanno paura perché ne va della vita … e sono andati dai sacerdoti, dai dottori della Legge. E loro hanno pagato: hanno pagato il silenzio, e questo, cari fratelli e sorelle, non è una tangente: questa è corruzione pura, corruzione allo stato puro. Se tu non confessi Gesù Cristo il Signore, pensa perché: dove c’è il sigillo del tuo sepolcro, dove c’è la corruzione.

È vero che tanta gente non confessa Gesù perché non lo conosce, perché noi non lo abbiamo annunciato con coerenza e questo è colpa nostra. Ma quando davanti alle evidenze si prende questa strada, è la strada del diavolo, è la strada della corruzione. Si paga e stai zitto.

Anche oggi, davanti alla prossima – speriamo che sia presto – prossima fine di questa pandemia, c’è la stessa opzione: o la nostra scommessa sarà per la vita, per la resurrezione dei popoli o sarà per il dio denaro: tornare al sepolcro della fame, della schiavitù, delle guerre, delle fabbriche delle armi, dei bambini senza educazione … lì c’è il sepolcro.

Il Signore, sia nella nostra vita personale sia nella nostra vita sociale, sempre ci aiuti a scegliere l’annuncio: l’annuncio che è orizzonte, è aperto, sempre; ci porti a scegliere il bene della gente. E mai cadere nel sepolcro del dio denaro.

Lunedì dell’Angelo, 13 aprile 2020

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